mercoledì 20 ottobre 2010

Prima viene la meraviglia e poi la conoscenza

Cuori freddi, teste calde 

ALESSANDRO D’AVENIA


«Noi ragazzi neces sitiamo di appassionarci a qualcosa, allo studio in particolare. Non vogliamo quella stramaledetta lezione da imparare a memoria, per poi rimuoverla una volta interrogati. Vogliamo fare nostro quello che studiamo. Vogliamo che ci entri nelle vene, nel sangue, in ogni più piccola cellula del nostro corpo».

Non sono frasi di un romanzo di fantascienza, ma le parole che mi ha scritto una diciassettenne, stanca dopo quattro anni di liceo privi di passione.

Passione: l’unica strategia didattica necessaria per un professore. Solo la passione incanta, perché solo la vita incanta. Lo provano gli occhi.

Due sono le occasioni in cui si dilatano le pupille di un mio studente: quando è toccato dalla bellezza o dopo aver fumato
 una canna. Mi ha sempre affascinato questo impeto del corpo che chiede agli occhi di lasciare entrare più realtà. La bellezza è l’innesco dell’esplosione che dilata le pupille: riscalda il cuore che spinge gli occhi ad aprirsi di più, per bere di più. Se la bellezza si nasconde, il cuore si gela. Certi ragazzi, all’incanto della realtà, capolavoro di luci e ombre, preferiscono l’incantesimo di una canna, finito l’effetto della quale l’incantesimo svanisce, il ghiaccio si rapprende, più duro di prima: la realtà è cacciata via, l’alunno è assente. Ma la bellezza si nasconde o qualcuno l’ha nascosta?

Dante avvicinandosi al centro dell’inferno non trova il fuoco, ma lande di ghiaccio e occhi cuciti dal gelo. Certi ragazzi cercano di ammorbidire il ghiaccio del cuore surriscaldandolo con artifici virtuali o alcolici, 'stupefacendosi' invece di stupirsi.

Diventano incapaci di sperimentare il calore buono della vita quotidiana,
 gravida di estasi appaganti in una pagina, in un volto, in un panorama, in una sfida, in un’amicizia. I professori sono capaci di queste estasi? Adulti dal cuore freddo e la testa calda possono testimoniarle?

I professori - si chiamano così perché 'professano', come una fede, la loro materia - possono invertire i poli, riportando il calore nel cuore dei ragazzi e la freddezza nelle loro teste. Come?

Con la passione per la loro materia, per la vita propria e dei ragazzi. Con una ragione capace di leggere la realtà personale e quella degli studenti. I professori intelligenti studiano (
 studium 

vuol dire passione) volta per volta, classe per classe: la passione per essere reale comporta un patire. Solo così possono trasformare una lezione in 'questa' lezione che entra nelle vene, nel sangue, perché è entrata prima nelle loro vene, nel loro sangue. La vita passa ai ragazzi se c’è vita nel professore, se testimonia con la sua vita, che patisce, che ciò che insegna lo coinvolge. Un professore di italiano che non ama scrivere non riesce a insegnare a scrivere. Un professore di matematica che non ama la simmetria dei petali di una rosa non riesce a insegnare la formula della sezione aurea.

Solo un cuore caldo ne riscalda un altro.

Solo una mente fredda ne guida un’altra.

In una casa di produzione cinematografica mi hanno detto che ho scritto un libro trasgressivo. Ho chiesto il perché. «C’è un professore che ama il suo
 lavoro». Trasgredire oggi è essere normali. Per questo auguro a tutti i miei colleghi di 'trasgredire' molto. Trasgredire con la passione per una poesia, per un teorema, per il filo di rame di un circuito, per la vita di una stella e quella di una cellula. Solo dei professori 'trasgressori' porteranno la vita in classe, perché la loro materia diventa il banco di prova della loro vita e solo in seconda battuta della vita dei propri alunni.

«La nostra epoca è un’epoca di sovreccitazione, non è un’epoca di passione; si surriscalda continuamente perché sente di non essere calda - in fondo ha freddo». Lo dice Nietzsche smascherando l’agitazione e la tiepidezza borghesi: dobbiamo riportare la passione nelle nostre vite.

La nostra epoca iper-sentimentale è paradossalmente fredda, ha quindi bisogno di sovreccitarsi artificialmente.

Una cultura dal cuore caldo può restituire ai ragazzi lo stupore del quotidiano: si accede alla loro testa solo attraverso il rapimento della bellezza. Prima viene la meraviglia, poi la conoscenza: lo diceva Aristotele e nulla è cambiato. Ma la meraviglia ha bisogno di testimoni: i professori possono cambiare una cultura intera. In Italia sono quasi un milione: la rivoluzione è dietro l’angolo. Basta preparare la lezione come fosse la prima: patire e appassionare.

Solo così renderemo i nostri ragazzi 'cuori pensanti': se lo siamo.
Fonte: Avvenire del 25/09/2010

I giovani e il bisogno di certezze


Autore: Bruschi, Franco  Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it
lunedì 18 ottobre 2010

Accade che una lezione sul “Purgatorio” di Dante diventi sorprendentemente un avvenimento.
L’altra mattina nella mia quarta introducendo il “Purgatorio” parlavo delle tre parole chiave della cantica: l’amore, il perdono e la misericordia, la libertà.
A tema della “Divina Commedia”, dicevo, c’è una domanda grandissima: tutto quello che di bello e di vero desidero, che amo e stimo sopra ogni cosa (la mia felicità, il bene per la persona che amo, il rapporto con un carissimo amico) durerà per sempre? Si realizzerà pienamente, totalmente? O tutto si corromperà e finirà nel nulla? Dante risponde con una certezza: la vita è per un positivo perché tutto esiste per amore. Ho citato don Giussani che a questo proposito afferma: “Non è tragedia la vita: la tragedia è ciò che fa finire tutto nel niente, la vita è dramma: è drammatica perché rapporto fra il nostro io e il Tu di Dio, il nostro io che deve seguire i passi che Dio segna”. E aggiunge: “L’arte anticipa qualcosa dell’eterno”. La poesia di Dante anticipa qualcosa a proposito del nostro destino: la vita o è certezza di essere amati o è tragedia; o è responsabilità, risposta di fronte a un Tu che ti stima infinitamente, o è il nulla; o è un dialogo o è una tragica solitudine, l’esperienza più diffusa ai giorni nostri anche tra i giovani.
La stessa cosa si può dire per l’esigenza del perdono e della misericordia: la vita è letizia, è positiva in qualunque situazione ci troviamo se abbiamo la certezza del perdono, di una presenza misteriosa che ci accoglie e ci perdona sempre, gratuitamente, senza chiedere nulla in contraccambio. Non c’è male, non c’è peccato, non c’è delitto che non possa essere perdonato, neanche la tragica uccisione della giovane Sara di Avetrana. L’unico peccato che non può essere perdonato è il peccato contro lo Spirito: Dio non esiste, o se per caso esiste non mi può perdonare, l’abisso della disperazione.
Dante dice a ciascuno di noi: “Franco, Laura, Stefania… tocca a te decidere: con sulle spalle il carico pesante del tuo male, dei tuoi limiti, della tua istintività o ti affidi con fiducia alla misericordia infinita di un Padre che perdona, o ti perderai sotto i colpi della disperazione e della solitudine.
Oppure puoi fare come fanno molti: evitare di guardare in faccia al tuo male, incolpando gli altri, la società o peggio affidandoti passivamente a tutto ciò che il potere ti offre per non pensare al tuo male, per non pensare a niente: ma una posizione così non può durare nel tempo”.
A quel punto una alunna, Giulia, alza la mano e chiede: “Ma lei, prof, ha delle certezze?” E io a lei: “Certezze a proposito di che cosa?” Lei risponde: “Certezze a proposito dell’esistenza di Dio, della Sua presenza?” Io le dico: “Ma perché mi chiedi questo?” Lei risponde: “Perché io ho molti dubbi. Per questo le volevo chiedere: ma lei come ha fatto ad arrivare a delle certezze su Dio?”
Le ho detto: “Guarda, non mi interessa dirti qualcosa da un punto di vista teorico, posso raccontarti la mia esperienza. Io sono arrivato ad avere delle certezze in tre modi: prima di tutto osservando, stando attento alla realtà che mi circonda, lasciandomi provocare dalla sua bellezza (un tramonto, un cielo stellato, il viso di una bella donna, una sinfonia) e ponendomi della domande: se non ho fatto io tutte queste cose che mi affascinano per la loro bellezza chi le ha fatte? E perché il mio cuore si emoziona, si esalta alla vista di queste cose? Chi ha fatto il mio cuore così? Perché sono fatto così?
Poi quando ero giovane ho incontrato qualcuno che mi ha detto: “C’è un uomo nella storia che ha detto: “Io sono la verità, la via, la vita.” Che è come dire: “Io sono la tua felicità”. Sentire delle simili parole mi ha cambiato la vita, mi è venuto un gran desiderio di conoscere e di scoprire quell’Uomo che prometteva quel che da sempre desideravo, che mi offriva quella certezza che dava un senso, una prospettiva infinita, una speranza a tutte le cose che più amavo. Mi è apparso subito chiaro che la cosa più semplice per conoscerlo era quella di stare, di diventare amico di chi mi aveva comunicato una notizia così decisiva, di chi aveva spalancato la mia vita a un orizzonte che comprendeva e valorizzava tutti i miei interessi. Da allora la mia vita è stata una continua scoperta.
Infine ho avuto la grazia di conoscere, di incontrare dei santi sia direttamente, sia leggendo le testimonianze della loro vita. I santi sono delle persone che avendo incontrato Cristo hanno dato tutto per Lui, mostrando a tutti per che cosa vale la pena vivere. Ad esempio, mi ha sempre colpito la vicenda che tutti conosciamo di San Massimiliano Kolbe. Ha detto alle SS che aveva di fronte: “Prendete me, uccidete me al posto di quel padre di famiglia che avete scelto”. Ho subito pensato: o uno così è un pazzo, o grazie alla compagnia di Gesù, ha sperimentato e ha capito che la vera vita, quella che non finisce, che non delude non è quel breve lasso di tempo costituito dalla vita terrena, ma è quella che Gesù ci ha promesso e ci ha manifestato con la sua Resurrezione.”
Giulia e il resto della classe si sono dimostrate molto colpite dalle mie risposte.
Allora all’intervallo ho detto a Giulia: “Mi piacerebbe iniziare con te e con le persone che hanno la tua stessa esigenza un cammino per arrivare a quelle certezze che ti stanno tanto a cuore”. Lei ha risposto: “Anche a me piacerebbe”. E io a lei: “Allora ci vediamo presto”. Da quel momento diverse compagne hanno manifestato lo stesso desiderio.
E’ stata la grazia di un’ora di scuola che ha saputo toccare l’esigenza più profonda del cuore di un gruppo di giovani, perché una persona senza certezze non si ritrova più. Quella delle certezze è veramente la più grande e affascinante sfida per noi educatori.