giovedì 23 settembre 2010

Scienza e fede, un pò di storia

Un pò di storia
Rappresentazioni del mondo.
Antichità

Il mondo è struttura chiusa entro frontiere invalicabili e la natura è sede del sacro e i suoi fenomeni inspiegabili sono base del sentimento religioso

 L'uomo è soggiogato da forze misteriose della natura selvaggia e identifica fenomeni della natura con la divinità - crea miti cosmogonici



Dio 
è in  molte divinità (politeismo)  percepite come immanenti al mondo fisico e non si tratta cora di dèi personali  ma di demiurghi (Platone)


La Storia è ciclica, a immagine del tempo cosmico ; è soggetta  all'eterno ritorno senza progresso, senza un inizio e una fine


La Verità consiste nell' ade- guamento rassegnato alle forze della natura ; nasce più dalla contemplazione che dal ragionamento
Cultura biblica

ll mondo è creato da Dio,
che lo governa dal
suo inizio alla fine
 ma è l'uomo che
ha il primato su tutte le cose


L'uomo è direttamente
creato da Dio quindi a lui sottómesso per legge naturale e  per legge positiva
(comandamenti)




Dio
 non è solo il Dio  della natura, ma è il Dio della storia
 e prende l'iniziativa dell' alleanza, della rivelazione, della redenzione



La Storia ha un inizio certo
(la creazione) e avrà una fine certa (parusía)
e la storia dell'uomo coincide con la storia dell'essere salvato da Dio

La Verità è quella rivelata
da Dio mediante  fatti salvífici e parole profetiche
Medioevo

il mondo fisico fa  parte di un cosmo dove hanno posto  gli uomini (spiriti incarnati) e gli angeli (puri spiriti) e la natura fisica è subordinata agli esseri spirituali

L'uomo e è membro della
Chiesa prima che cittadino della società civile
C'è una  priorità della legge divina ed ecclesiastica sulle leggi civili

Dio  è presente nel mondo ma lo trascende ed è percepito magicamente nei fenomení naturali e negli eventi dolorosi (peste, carestie, morte)

La Storia è teatro dell'azione potente, amorosa o vendi- catrice, di Dio ; la necessità prevale sulla libertà



La Verità
 è quella dettata
e dall'autorità e trasmessa dai Padri;  la teologia è la
scienza che accerta la verità
Età moderna

l mondo diventa regno
dell'uomo che lo domina con la scienza e con la tecnica
- ha leggi proprie,che non dipendono da Dio (= desacra-
lizzazione della natura)

L'uomo l'io diventa misura dei valori della vita
e fede e scienza si separano fino a ignorarsí o polemizzare


Dio  non è più il Dio personale biblico ma l'Assoluto (deismo)
 è ammesso come  ente supremo perché la ragione non lo considera un assurdo



La Storia è guidata dalla libera intraprendenza degli uomini e degli stati.;
essa è aperta a un futuro di progresso illimitato (utopia)


La Verità 
è quella scoperta mediante l'indagine filosofica o scinetifica.
Filosofia e scienze si liberano dalla teologia.
Età contemporanea

ll mondo
d diviene un laboratorio dell'uomo che scopre (scienza)e trasforma (tecnica) e ha perso ogni valore simbolico, ha solo valore economico


L'uomo 
 è disilluso dai miti tramontati, si crea un mondo su misura, in un orizzonte di immanenza (pragmatismo, edonismo, liberalismo ... )


Dio non è più necessario per spiegare il mondo ed è sempre meno credibile il Dio predicato dalle chiese, ma molti contemporanei, per altre vie, lo cercano con nostalgia
La Storia non promette più un futuro luminoso ; non è che il frutto di compromessi tra potenze economiche, giochi diplomatici e alternanza di ideologie

La Verità  è quella scientificamente provata e soprattutto quella pragmaticamente utile.

Periodo di diffidenza
Nei primi cinque secoli, tra teologi cristiani e filosofi pagani, impregnati ancora dei postumi del pensiero greco, non c'è stata - né ci poteva essere - una buona intesa. Da una parte prendevano sempre più piede i giovani e dinamici pensatori cristiani,i cosidetti apologisti e Padri della Chiesa, che, in un contesto culturale ostile, seppero difendere il punto di vista della fede contro una filosofia in decadenza e un pensiero scientifico ristagnante. La storia ricorda decine di scrittori cristiani eminenti, tra cui Origene, Girolamo, Cirifio, Basilio, Agostino. Dall'altra, continuavano ad avere un certo credito tra gli intellettuali del tempo scuole di pensiero come lo gnosticismo, lo stoicismo, il neoplatonismo, il manicheismo, che, pur in contraddizione tra loro, non mancavano di rintuzzare elementi fondamentali della teologia cristiana (quali la rivelazione, l'incarnazione, la risurrezione).
La fede cristiana, sollecitata anche dalle critiche che le venivano dal pensiero pagano, ebbe bisogno di questi primi secoli per darsi una struttura razionale.
Da "narrazione dei fatti della salvezza" documentati dalla Bibbia, il discorso della fede divenne teologia, ossia discorso razionale sulla fede e a partire dalla fede. Presso i Padri questa visione di fede giunse fino a subordinare le verità della scienza profana alla verità rivelata.
La verità rivelata contenuta nella Scrittura veniva spesso interpretata alla lettera, col rischio di far dire alla Bibbia affermazioni a di tipo geografico, storico, naturalistico, astronomico, che non hano no nulla a che fare con la verità della salvezza. Di qui alcuni malintesi, che si sono perpetuati pericolosamente nella storia della Chiesa:
-la tendenza ad attingere nelle filosofie pagane le teorie suscettibili di confermare la Bibbia: atteggiamento pericoloso perché rischia di fondare la fede su teorie confutabili;
- la pretesa, più tardi, di ritenere valide solo quelle teorie scientifiche che coincidevano con l'esegesí biblica: è la tentazione del concordismo, basata sulla confusione tra verità scientifica e verità religiosa;
- di conseguenza, la pretesa di negare persino alla scienza la sua autonomia, e di assegnarle invece come sola ragion d'essere quella di render gloria a Dio.
Alla ricerca di una comune intesa
Il medioevo tenta l'impresa di mettere d'accordo le verità di fede (teologia) con le verità di ragione (filosofia, diritto, etica). E ci riesce, grazie al genio di un teologo-scienziato come Alberto Magno e di un teologo-filosofo come Tommaso d'Aquino.
Il progetto conoscitivo del medioevo è tanto orientato alla fede quanto disciplinato dalla ragione: non basta credere, occorre comprendere (intelligere) la fede. Di qui lo sforzo sistematico compiuto dai teologi per offrire una esposizione ragionata e organica di tutto lo scibile visto in chiave cristiana.
C'è da dire che la scienza, in quei secoli, era più che altro ancora speculativa, molto vicina alla filosofia quanto a metodi di ricerca, e quindi si presentava abbastanza omologa alla stessa teologia scolastica allora in auge nelle università.
Inoltre, nella cultura tipica delle masse cristiane, l'uomo e il mondo fisico sono visti come l'immagine e il simbolo dell'onnipresenza divina: studiare queste realtà (antropologia, cosmologia) significava vederle anzitutto nella luce della rivelazione cristiana.
La scienza si emancipa dalla tutela religiosa
Per la mentalità medioevale la scienza era per lo più fondata su un pensiero astratto e logico. La filosofia e la teologia resiedevano a tutto lo spettro delle varie forme di ricerca e di pensiero per cui il mondo veniva spiegato, nei suoi nessi ,nelle sue relazioni ,nelle concatenazioni causa-effetti dalle intuizioni del pensiero umano che si esercitava anche a partire dalla osservazione della natura e delle sue evidenze ma sempre in modo soggettivo.
A partire da alcuni principi fondamentali  definiti da Aristotele, da questo o quel grande filosofo, da questo o quel teologo, per lo piu' si deduceva tutto il resto. I fatti del mondo, i fenomeni venivano adattati ad alcune idee di base fFissate dal pensiero astratto e logico dell'uomo.
Dal Rinascimento in poi cominciò a farsi strada l'osservazione dei fenomeni e il desiderio di comprendere ilfunzionamento del mondo a partire da alcuni meccanismievidenti che lo regolavano.
Tutto ciò fu facilitato dall'invenzione di strumenti che miravano ad osservare con più precisione i fenomeni.
Galileo Galilei (1564-1642) fu importante non solo per ricerche e scoperte in campo astronomico, ma perché cominciò a praticare un nuovo metodo di indagine:il metodo scientifico sperimentale che divenne la base di tutta la ricerca scientifica successiva.
Esso consiste:
• nell'osservare i fenomeni controllando la regolarità della loro ripetizione;
• nel formulare delle ipotesi che giustifichino tali fenomeni
• nel verificare tali ipotesi con successivi esperimenti;
• nell'elaborare così delle leggi (o delle regole) generali,le teorie scientifiche.
Il metodo conoscitivo sperimentale ed induttivo di Galileo mise a soqquadro filosofie, teologie e scienze.Alla base della conoscenza umana non c'era piu' una verità colta dal pensiero umano nella natura o nella religione, bensi' il dubbio sistematico quanto al pensiero umano sul mondo e la fiducia nella osservazione oggettiva del mondo.
Questa rivoluzione nella ricerca della conoscenza umana produsse una tendenza inversa a quella medioevale:
se prima si cercava di adattare i fatti alle idee, ora si procedeva a rovescio,
Con la scienza dell'osservazione sistematica e della sperimentazione si adattava per lo piu' ogni idea logica o astratta ai fenomeni naturali.Si tendeva cioè a spiegare ogni fenomeno, anche religioso con relazioni causa-effetto di origine materiale, naturale. Gradualmente si realizzò una separazione più profonda tra la scienza, la filosofia e la teologia.
Nacque l'ideologia secondo cui ogni fenomeno puo' avere due spiegazioni:una scientifica ed una religiosa.
La Chiesa cattolica stessa cadde in questa ideologia: siccome la Bibbia diceva che Dio aveva fermato il sole (Libro di Giosuè 10,12) cio' significava che era il sole a girare intorno alla terra e non il contrario come affermava Copernico.Copernico e Galielo erano dunque nell'errore, erano da considerarsi eretici religiosi.
Da parte laica ci fu la stessa dipendenza ideologica:le affermazioni religiose in particolare quelle bibliche quanto alla origine della natura, dell'uomo, del cosmo, sono spesso smentite dalla evidenza oggettiva della osservazione scientifica e dalla scienza sperimentale...dunque tutta la religione è erronea, è una percezione errata del cosmo, una eresia umana!
Questa dipendenza ideologica sussiste ancora oggi per molte persone 
Si leggono i libri di religione come fossero testi scientifici e viceversa si leggono i testi scientifici come se esprimessero verità religiose, rivelazioni.
La mentalità razionalista (cioè basata sulla convinzione di poter comprendere la realtà con la, sola ragione) instauratasi con la rivoluzione scientifica ha indotto molti a porsi in modo ostile rispetto al fenomeno religioso. Alcuni movimenti di pensiero, come l'Illuminismo  nel XVIII secolo e il Positivismonel XIX hanno considerato la ragione come l'unico mezzo possibile per giungere alla conoscenza della verità. Per questo genere di mentalità la religione è inutile, anzi, quasi un ostacolo al progresso, in quanto impigrisce la ragione nella sua ricerca.
A causa di questi atteggiamenti si è sviluppata un'autentica avversione nei confronti di tutto ciò che è soprannaturale e trascendente. L'uomo si è ritenuto sempre più autosufficiente, senza alcuna necessità di chiedere alla religione delle spiegazioni sulla sua origine o sul suo futuro.
Oggi una mentalità rigidamente razionalista appare in crisi ed è nuovamente diffuso un grande interesse per la spiritualità. Questo ha permesso ulteriori avvicinamenti tra scienza e fede.
Al di là di ogni ottimismo è importante valutare correttamente il rapporto tra scienza e fede.
Nell'arco di tempo che va dal XIV fino al XVI secolo, fede e religione tendono a distinguersi, recuperando ciascuna il proprio ambito di ricerca.
Comincia il francescano Guglielmò di Ockham (1280-1349) che afferma l'asimmetria tra fede e ragione. Le verità rivelate, secondo lui, non appartengono al dominio della ragione, in quanto non sono evidenti di per se stesse, come possono esserlo i princìpi di una dimostrazione razionale; non sono dimostrabili come le conclusioni della dimostrazione; e non sono nemmeno probabili perché appaiono false a coloro che si servono della ragione naturale.
E soprattutto a partire dal rinascimento che scienze e arti in genere si liberano dalla tutela religiosa e ridiventano autonome. Le affermazioní della Bibbia o di Aristotele, le direttíve dell'autorità gerarchica, vengono passate al vaglio della critica. E' la fine del principio dell'ipse dixit =
« è vero perché l'ha detto lui, perciò ci credo»).
La Bibbia viene analizzata filologicamente sui testi originali, come si fa del resto con gli altri classici della cultura greco-romana. Il principe degli umanisti, Erasmo di Rotterdam (1469-1536) prepara e pubblica la prima edizione del Nuovo Testamento in greco.
In Polonia il canonico Nicolò Copernico pubblica nel 1543 il De revolutionibus orbium coelestium, opera che rivoluziona la cosmologia geocentrica che fu propria di Aristotele, di Tolomeo e della Bibbia.
Cinquant'anni dopo, l'inquieto filosofo fra' Giordano Bruno deduce dal sistema copernicano che l'universo è infinito e composto da innumerevoli mondi: accusato di panteismo, finirà sul rogo, all'alba del nuovo secolo nel febbraio del 1600.
Conflitto e rottura
Dalla seconda metà del Cinquecento la Chiesa di Roma si trova a dover lottare contro il libero esame che i protestanti applicano alla lettura della Bibbia. Libero esame è sinonimo di analisi razionale svincolata dalla interpretazione data dall'autorità.E' sinonimo di ricerca, di rifiuto del dogmatismo. La Chiesa tenta di sbarrare la strada a queste nuove teorie, e si arrocca su una tradizione dottrinale che non è in sintonia con la mentalità culturale del nuovo tempo. La fede parla ormai un linguaggio distante da quello delle nuove scienze. E quando le scienze minacciano una verità di fede, il tono della Chiesa si fa sospettoso e polemico.
Se la Chiesa prende le distanze dai nuovi cantieri della scienza, il pensiero filosofico e scientifico a sua volta intraprende strade che lo allontanano dalla Chiesa. Pensatori e ricercatori cattolici come Cartesio, Galileo, Buffon, Pascal avranno rapporti difficili con la Chiesa.
Ripercorriamo le tappe solo per cenni schematici:
a) La separazione netta tra ragione e fede si annuncia con R. Descartes (1596-1648), che applica il rigore matematico al ragionamento filosofico. t l'iniziatore del razionalismo. Realizza la rivoluzione copernicana in filosofia, nel senso che, al procedimento medioevale che partiva dalla certezza di Dio per giungere alla certezza di se stessi, sostituisce il procedimento inverso che parte dalla certezza di se stessi (« Cogito ergo sum ») per arguire la certezza di Dio.
b) Il caso Galileo è emblematico del conflitto tra ragione e fede. Si riconosce unanimemente in Galileo il fondatore della scienza moderna. La novità, rispetto alla scienza tradizionale, sta nel metodo: Galílei studia i fenomeni naturali usando strumenti di cui si fida più che dei propri sensi; analizza i risultati con una nuova matematica, risultante dall'integrazione tra geometria classica e l'aritmetica basata sui numeri indiani. All'uomo che avrebbe dato inizio alla più straordinaria rivoluzione del sapere in epoca moderna, gli arístotelici del Seicento non potevano perdonare la genialità nel demolire le loro vecchie certezze tolemaiche. Processato due volte, ricevette due condanne, dovette abiurare, e fu infine assegnato a domicilio coatto «per aver ritenuto e adottato la dottrina falsa e contraria alle sacre e divine Scritture, secondo cui il Sole è al centro del mondo e immobile, mentre la terra non sta al centro e si muove» (dagli atti del processo del 1633). Severo, ma da condividere, il giudizio degli storici. Uno di loro, J. Lortz', scrive che' con la condanna di Galileo, la Chiesa si estromise dal grande rinnovamento scientifico moderno e, quel che più conta, provocò nei secoli successivi, a se stessa prima che alla scienza, incalcolabili e irreparabili conseguenze.
c) B. Pascal (1623-1662), filosofo e matematico profondamente credente, incarna il dissidio del Seicento tra ragione e fede. Difende naturalmente i diritti della ragione, attacca il principio di autorità nella ricerca razionale, ma non ritiene che il razionalismo possa estendersi alla sfera della religione. La ragione è impotente a fondare i valori e a provare l'esistenza di Dio. «Il silenzio eterno di questi spazi infiniti mi spaventa»: è uno dei "pensieri" (il n. 206) che traduce bene lo sgomento di un uomo moderno che crede in Dio e che conosce il mondo, ma che guardando il mondo lo vede vuoto di Dio.
d) Il divorzio tra fede e scienza non fu tuttavia sempre radicale. In Cina i gesuiti utilizzarono le loro conoscenze matematiche e astronomiche prima di annunciare il vangelo. E nella stessa Europa la maggior parte degli scienziati del Sei-Settecento rimase cristiana, anche se si sentivano messi in forte disagio di fronte a una Bibbia che la Chiesa ufficiale riteneva intoccabile persino nella sua forma letterale.
e) Durante il Settecento la Chiesa darà segnali evidenti di opporsi alla scienza e alla realizzazione autonoma dell'uomo. Per reazíone, molte ricerche e scoperte avvengono ormai fuori di essa. Monumento letterario della ragione in conflitto con la fede è l'Encyclopédie (1751-1765).
f) L'Ottocento, con lo strepitoso sviluppo delle scienze positive e delle tecniche, segna il momento di maggior attrito tra il mondo della ricerca e il sistema delle verità di fede. E' diffusa l'utopia del progresso illimitato che risolverà finalmente ogni problema umano e sociale; solo la scienza e la storia hanno le chiavi per aprire l'avvenire. Il Catechismo positivista (1852) di A. Comte fonda la conoscenza sui soli fatti empíricí, mentre il materialismo riduce tutto il reale alla materia e alle sue leggi. Marx ed Engels vedono la nuova società incamminarsi verso una radicale trasformazione in base ai principi - da loro spacciati per scientifici - del materialísmo storico e dialettico.
g) Il trasformismo biologico di Darwin, esposto ne L'origine della specie (1859), esclude l'idea di creazione immediata e diretta dell'uomo, una delle verità capitali della Bibbia. L'affermazione che «l'uomo discende dalla scimmia» viene presa come un doppio schiaffo dalla maggior parte dei credenti: primo, per l'offesa inferta alla dignità spirituale dell'uomo; secondo, per il conseguente declassamento dei primi capitoli della Genesí biblica a racconto leggendario, paragonabile solo a tanti altri miti della letteratura orientale.
h) Per tutto il secolo xix, segnato da una vivace ma greve mentalità positívistica, ci sono uomini di scienza e filosofi che proclamano l'incompatibilità del cristianesimo con la cultura moderna. Da parte sua, la gerarchia ecclesiastica controbatte con un atteggíamento opposto e speculare (cfr., per es., il Sillabo di Pio IX, 1864, e la strategia difensiva del concilio Vaticano I, 1869-1870). E' vero che il sapere teologico viene espulso dalle università statali e relegato nelle sole università ecclesiastiche, ma non è men vero che le scienze profane non sono più considerate, nel curricolo di studi seminaristici collaudato dalla riforma tridentina, come componente importante nella formazione intellettuale degli uomini di Chiesa.
i) L'atteggiamento della Chiesa rimane sospettoso fin oltre la soglia del xx secolo. Se si è dimostrata legittima la sua resistenza allo scientismo, al razionalismo e al materialismo, che espropriano l'uomo della sua dimensione trascendente, altrettanto miope si rivela la diffidenza verso le scoperte tecnico-scientifiche, e in particolare verso il metodo storico-critico adottato dalla fine dell'Ottocento per leggere la Scrittura. Nasce la esegesi modernista. Alcuni pronunciamenti del magistero bloccano ancora per qualche decennio la ricerca in materia di esegesi biblica, di storia del crístianesimo, di teologia dogmatica e morale.
Verso la riconciliazione
Il secolo XIX vede un netto riavvicinamento delle posizioni. Sono cadute molte prevenzioni dall'uno e dall'altro fronte. Ma soprattutto sono intervenuti fatti nuovi, che cambiano i termini rapporto scienza-fede.
Da una parte, la scienza abbandona la presunzione di essere onnipotente. Rinuncia agli eccessi dello scientismo e al mito della neutralità. Ammette che la prima prerogativa dei suoi risultati quella di restare falsificabili. Anche certe nuove teorie dibattute nella prima metà del secolo (meccanica quantistica, relatività,entropia ... ) invitano la comunità scientifica alla modestia. Paradossalmente, lo scienziato più avanza nel sapere, più si rende conto che aumenta il suo non-sapere. Gli scienziati veri oggi, per Ia stessa ammissione, sono, tra tutte le persone, quelle che hanno dubbi e meno certezze! E quando intercettano fenomeni o documenti di tipo religioso, in genere non hanno l'ingenuità o la supponenza di negare o ridicolizzare questa dimensione dell'uomo né si avventurano a dar risposte a interrogativi religiosi, che esulano dalla loro competenza.
Dall'altra, anche la Chiesa tende a rifare pace con la ragione e il mondo delle scienze. Parecchi papi, da Pio XI a Pio XII, Paolo VI a Giovanni Paolo II, dimostrano di essere convinti estimatorì della verità scientifica, da qualunque parte provenga. Il motivo di questo apprezzamento è chiaramente affermato: non può esserci contraddizione tra le verità scoperte dalla scienza e le verità rivelate, perché ogni verità ha Dio come unica origine.
Oltre all'Osservatorio astronomico (o Specola Vaticana) di Castelgandolfo (arricchitosi ultimamente di un nuovo potente telescopio montato sui monti del deserto dell'Arizona), esiste in Vaticano, fin dal 1936, una Accademia pontificia delle Scienze, composta di ottanta accademici di fama mondiale (tra loro ci sono diversi premi Nobel), scelti senza discriminazione razziale o religiosa, che promuovono ricerche e danno pareri sui problemi emergenti dell'umanità. Un esempio: nel 1979, papa Wojtyla chiede all'Accademia di riaprire il caso Galileo, di riesaminare con obbiettività tutta la documentazione storica, nell'atteg- giamento di chi intende ammettere lealmente i torti comunque arrecati o subìti. Nel 1983 il caso è chiuso con il riconoscimento delle colpe oggettive degli uomini di Chiesa di allora.
Con il concilio Vatícano II si riannoda il dialogo tra Chiesa e mondo scientifico. 
Le realtà terrene - afferma la Gaudium et spes, nn. 36 e 62 - hanno leggi e valori propri, da riconoscere e rispettare nella loro autonomia. La fede non ha nulla da temere dallo sviluppo corretto delle scienze. Agli occhi del credente, scienza e fede colgono, ognuna a modo suo, un aspetto della stessa verità; per questo offrono la possibilità di cogliere la creazione nella sua globalità: la scienza aiuta a capire il come e la fede risponde al perché.
Il vantaggio, in definitiva, è reciproco. La scienza può purificare la religione dalle tendenze superstiziose, mentre la religione può distogliere la scienza dall'idolatria di se stessa e dai falsi assoluti. Le scienze possono suggerire nuovi metodi di indagine alle discipline religiose (che infatti si sono sviluppate enormemente in questi decenni, come hanno fatto l'antropologia, l' archeologia, la storia, la psicologia e la socíologia della religione, ecc.). Invece la teologia, in particolare la morale, può avere un'íncidenza positiva sull'orientamento che gli uomini di scienza imprimono alle proprie ricerche. In fisica nucleare o in genetica, per esempio, ci si domanda se lo scienziato ha il diritto di sperimentare tutto quello che è tecnicamente possibile. Qui la fede - o meglio, la responsabilità morale che nasce dalla fede - interviene non tanto per censurare, quanto per aiutare a discernere i valori che sono in gíoco, a cominciare dalla dignità della persona e dal bene comune della società.
La questione oggi
Le priorità del pontificato di Benedetto XVIdi Camillo Ruini- marzo 2009
«...Quanto alla ragione contemporanea, Benedetto XVI sviluppa una "critica dall'interno" della razionalità scientifico-tecnologica, che oggi esercita una leadership culturale. La critica non riguarda questa razionalità in se stessa, che ha anzi grande valore e grandi meriti, dato che ci fa conoscere la natura e noi stessi come mai era stato possibile prima e ci permette di migliorare enormemente le condizioni pratiche della nostra vita. Riguarda invece la sua assolutizzazione, come se questa razionalità costituisse l'unica conoscenza valida della realtà.
Tale assolutizzazione non proviene dalla scienza come tale, né dai grandi uomini di scienza, che ben conoscono i limiti della scienza stessa, bensì da una "vulgata" oggi molto diffusa e influente, che però non è la scienza ma una sua interpretazione filosofica, piuttosto vecchia e superficiale. La scienza infatti deve i suoi successi alla sua rigorosa limitazione metodologica a ciò che è sperimentabile e calcolabile. Se però questa limitazione viene universalizzata, applicandola non solo alla ricerca scientifica ma alla ragione e alla conoscenza umana come tali, essa diventa insostenibile e disumana, dato che ci impedirebbe di interrogarci razionalmente sulle domande decisive della nostra vita, che riguardano il senso e lo scopo per cui esistiamo, l'orientamento da dare alla nostra esistenza, e ci costringerebbe ad affidare la risposta a queste domande soltanto ai nostri sentimenti o a scelte arbitrarie, distaccate dalla ragione. È questo, forse il problema più profondo e anche il dramma della nostra attuale civiltà.
Joseph Ratzinger-Benedetto XVI fa un passo in più, mostrando che la riflessione sulla struttura stessa della conoscenza scientifica apre la strada verso Dio. Una caratteristica fondamentale di tale conoscenza è infatti la sinergia tra matematica ed esperienza, tra le ipotesi formulate matematicamente e la loro verifica sperimentale: si ottengono così i risultati giganteschi e sempre crescenti che la scienza mette a nostra disposizione. La matematica è però un frutto puro e "astratto" della nostra razionalità, che si spinge al di là di tutto ciò che noi possiamo immaginare e rappresentare sensibilmente: così avviene in particolare nella fisica quantistica – dove una medesima formulazione matematica corrisponde all'immagine di un'onda e al tempo stesso di un corpuscolo – e nella teoria della relatività, che implica l'immagine della "curvatura" dello spazio.
La corrispondenza tra matematica e strutture reali dell'universo, senza la quale le nostre previsioni scientifiche non si avvererebbero e le tecnologie non funzionerebbero, implica dunque che l'universo stesso sia strutturato in maniera razionale, così che esista una corrispondenza profonda tra la ragione che è in noi e la ragione "oggettivata" nella natura, ossia intrinseca alla natura stessa. Dobbiamo chiederci però come questa corrispondenza sia possibile: emerge così l'ipotesi di un'Intelligenza creatrice, che sia l'origine comune della natura e della nostra razionalità.
L'analisi, non scientifica ma filosofica, delle condizioni che rendono possibile la scienza ci riporta dunque verso il "Logos", il Verbo di cui parla san Giovanni all'inizio del suo Vangelo. Benedetto XVI non è però un razionalista, conosce bene gli ostacoli che oscurano la nostra ragione, la "strana penombra" in cui viviamo. Perciò, anche a livello filosofico, non propone il ragionamento che abbiamo visto come una dimostrazione apodittica, ma come "l'ipotesi migliore", che richiede da parte nostra "di rinunciare a una posizione di dominio e di rischiare quella dell'ascolto umile": il contrario dunque di quell'atteggiamento oggi diffuso che viene chiamato "scientismo".
Allo stesso modo non può essere presentata come "scientifica" la riduzione dell'uomo a un prodotto della natura, in ultima analisi omogeneo agli altri, negando quella differenza qualitativa che caratterizza la nostra intelligenza e la nostra libertà. Una simile riduzione costituisce in realtà il capovolgimento totale del punto di partenza della cultura moderna, che consisteva nella rivendicazione del soggetto umano, della sua ragione e della sua libertà. Perciò, come Benedetto XVI ha detto a Verona, la fede cristiana proprio oggi si pone come il "grande sì" all'uomo, alla sua ragione e alla sua libertà, in un contesto socio-culturale nel quale la libertà individuale viene enfatizzata sul piano sociale facendone il criterio supremo di ogni scelta etica e giuridica, in particolare nell'"etica pubblica", salvo però negare la libertà stessa come realtà a noi intrinseca, cioè come nostra capacità personale di scegliere e di decidere, al di là dei condizionamenti ed automatismi biologici, psicologici, ambientali, esistenziali. ...»

Scienza e fede

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Le scienze si fondano su osservazioni
Le scienze studiano cio' che è osservabile con i 5 sensi.
Le osservazioni vengono fatte secondo protocolli determinati e verificabili e producono dati.
I dati vengono ordinati, analizzati,comparati e valutati; lo scienziato che analizza i dati coglie dei nessi , delle relazioni che esprime in ipotesi.
Ipotesi sull'origine del fenomeno, sullo svolgimento, sugli effetti,sulle cause e le con-cause,etc.
L'ipotesi puo' essere falsificata o verificata dalle sperimentazioni ed essere scartata o diventare unateoria scientifica.
Nuove osservazioni, piu' accurate o piu' fortunate possono portare a nuove teorie, piu' precise che falsificano quelle vecchie.
Le scienze progrediscono attraverso un processo di falsificazione delle teorie precedenti .
Le scienze producono teorie predittive dei fenomeni osservabili verificate sperimentalmente .
La conoscenza scientifica è provvisoria e soggetta a falsifica, non produce per sè delle verità, dei significati, dei valori.
Tocca alla ragione, cioè alla filosofiascoprirli.
Le religioni si fondono su rivelazioni
La Rivelazione è in genere un evento che viene compreso come un miracolo,un prodigio una comunicazione soprannaturale, divina. L'evento miracoloso in sè non è rivelazione se non entra nella storia attraverso un linguaggio umano che ne sveli il significato soprannaturale, l'autore, la finalità,etc.
Perchè ci sia una rivelazione ci vuole qualcuno che colga il significato soprannaturale di un fenomeno,un mediatore .
I mediatori ( sciamani, sibille, profeti) partecipano degli eventi di rivelazione ed esprimono i significati ad essi collegati attraverso simboli e segni, un linguaggio simbolico, analogico, e non attraversorelazioni matematizzate , trattati scientifici.
Tutte le rivelazioni sono storiche. Ogni rivelazione è un dato.
Le religioni custodiscono le rivelazioni, verita' che sono espressioni simboliche legate al significato religioso di determinati eventi prodigiosi e miracolosi.
Le religioni sono depositarie delle rivelazioni cioè dei significati religiosi di eventi e fenomeni legati al sacro la cui conoscenza implica la mediazione di profeti, sciamani, sibille, veggenti che partecipano degli eventi di rivelazione e li interpretano traducendoli in linguaggi analogici.

Le rivelazioni non sono conoscenze soggette a verifica o falsifica, sono dati, verità immutabili sulle quali si applica la ragione (teologia) , scoprendo in esse significati e valori.

Le rivelazioni sono linguaggi religiosi, simbolici, non sono relazioni oggettive, matematiche, trattati scientifici .I saggi di tutti i tempi e di tutte le culture hanno contemplato le rivelazioni, hanno riflettuto su di esse ed hanno colto verità , in esse nascoste. Per comunicare tali verità alle generazioni i saggi hanno universalmente costruito racconti speciali , tipicamente i miti. Quando le comunità di fede hanno riconosciuto tali verità come parte della rivelazione stessa hanno inserito anche questi miti nei testi sacri. Quando le religioni parlano di creazione del mondo o dell’uomo non parlano di problemi scientifici, non voglio dare spiegazioni religiose dedotte dalle rivelazioni sulle origini dell’uomo o del mondo o del male, ma parlano del significato dell’uomo o del mondo o del male , che esse scoprono nelle rivelazioni..
Scienza e religione sono conoscenze autonome.
Non puo' esistere conflitto tra scienza e religione , sono due ambiti diversi di conoscenza.
Le religioni non hanno nessun titolo per giudicare le teorie scientifiche,
cosi' come le scienze non hanno nessun titolo per giudicare le rivelazioni.

«Una teoria è un'elaborazione metascientifica, distinta dai risultati dell'osservazione, ma ad essi affine.
Grazie ad essa, un insieme di dati e di fatti indipendenti fra loro possono essere collegati e interpretati in una spiegazione unitiva. La teoria dimostra la sua validità nella misura in cui è suscettibile di verifica; è costantemente valutata a livello dei fatti; laddove non viene più dimostrata dai fatti, manifesta i suoi limiti e la sua inadeguatezza. Deve allora essere ripensata.»


Sua Santità Giovanni Paolo II-Ai Membri della Pontificia Accademia delle Scienze riuniti in Assemblea Plenaria-22 Ottobre 1996.
Nessuna scienza puo' studiare Dio giacche' non puo' osservarlo!
Nessuna religione  e' mai nata sulla base di osservazioni scientifiche!
Questa autonomia si esplicita:
1. negli obiettivi: la scienza nelle sue varie articolazioni cerca di scoprire "come" avvengono i fenomeni.
La religione cerca il “ perché”, il senso delle cose a partire dalle rivelazioni. La fede accoglie la rivelazione e indaga con la ragione su di essa. La religione , come la filosofia, indaga sui "perché" ultimi dell'esistenza, sul senso profondo della vita e della morte, etc., ma non si fonda solo sulla ragione umana come la filosofia, bensì ragiona a partire da rivelazioni.
2. nel metodo: la scienza usa il metodo sperimentale di verifica. La fede accoglie con fiducia il messaggio religioso rivelato da Dio senza una previa verifica empirica. Le rivelazioni non si impongono alla ragione umana, la loro efficacia salvifica non è ripetibile sempre e comunque, non è sperimentabile oggettivamente, “ a priori”,ma si manifesta solo soggettivamente e nella comunità di fede , cioè solo se prima ci si affida ad essa con la fede.
3. negli strumenti: la scienza usa strumenti appositi e tecniche proprie delle varie discipline che sono strettamente legate ai 5 sensi, alla osservazione. I saggi delle religioni, universalmente, si “servono “ della ragione ma anche della preghiera , della contemplazione, di esercizi spirituali, si affidano alla divinità per attivare il sensore "anima" .

Tra fede e scienza non solo è superabile il conflitto, ma è proficua una reciproca collaborazione e complementarietà, perché ambedue hanno come centro delle loro attenzioni l'uomo e l'universo e, quindi, ambedue possono offrire contributi preziosi nell'esplorare il "grande e inesauribile mistero dell’esistenza".

Ragione e Rivelazione

La Rivelazione
Le religioni nascono e si sviluppano intorno a rivelazioni. 
Esse attestano un coinvolgimento divino nelle vicende umane. 
La divinità mostra interesse per l’uomo, a volte fino a morirne per liberarlo dal male e dalla morte (Gesù). 
Sebbene questo non sia attestato allo stesso modo in tutte le religioni, esso è un dato universale. 
Questo fenomeno  viene attestato dalle culture come rivelazione. 
Il coinvolgimento degli dèi nelle vicende umane universalmente attestato-la rivelazione- è innanzitutto un interesse benevolente rivolto alle persone; istruzioni e istituzioni vengono dopo e sono sempre finalizzate a stabilire le giuste relazioni con gli uomini di modo che i benefici divini li raggiungano in modo pieno ed efficace. Questo fenomeno -le alleanze tra gli dèi e gli uomini e relative istruzioni divine ( leggi divine, comandamenti) e le istituzioni che le conservano (libri sacri,culti, dottrine) - viene attestato dalle culture come religione.
La rivelazione in senso generale è un miracolo o un prodigio divino : l'evento straordinario porta sempre in sè verità e significati nascosti che l'attitudine umana della contemplazione coglie e mette in parole( la sapienza religiosa). 
La rivelazione porta sempre con sè la conoscenza di qualcosa che sta al di là delle possibilità conoscitive ordinarie: è una comunicazione conoscitiva tra il mondo degli dèi  ed il mondo degli uomini.
Ragione e Rivelazione
Di fronte alla pretesa delle religioni di rivendicare una origine divina , la cultura filosofica occidentale ha introdotto il concetto di rivelazione naturale e religione naturale :
rivelazione naturale:  un complesso di verità e credenze comune a tutti gli uomini che essi possono scoprire con il semplice uso della ragione. La rivelazione naturale porterebbe ad una religione naturale .
Si tratterebbe di una ipotetica rivelazione naturale  che ogni uomo riceve dalla natura nella sua coscienza e che puo’ riconoscere con la sola ragione. I sostenitori di questa filosofia si ritengono in diritto di assumere la ragione come  unico  criterio di verità  che sorpassa e rende inutili le verità custodite nelle culture per mezzo delle religioni che si sono costitutite storicamente.  Le religioni sarebbero verità parziali e spesso contradditorie e incrostate di credenze infondate.
Tale filosofia ha le sue radici nella storia del pensiero esoterico occidentale che ipotizza , a partire dal Rinascimento e a proposito del  Corpus Hermeticum  del Filosofo Ermete Trismegisto, una  philosofia prisca et perennis rivelata da Dio ad Adamo (nelle correnti più radicali; a Noè, a Mosè secondo altre...) eri-conosciuta razionalmente, custodita, trasmessa nei secoli da grandi personaggi della filosofia ,della scienza e delle religioni cosi' come da semplici persone del popolo.
La Rivoluzione francese sarebbe il trionfo di questa filosofia e credenza.
PUO' LA RAGIONE UMANA ESSERE PRESA COME CRITERIO ASSOLUTO DI VERITA' ?

La ragione umana ha anch'essa la sua storia . Non si ritrova -nè è possibile rintracciare- una  ragione allo stato puro :  tutti nascono e si formano in una cultura, tutti hanno una storia. Se si accettasse solo ciò che è verificabile dalla ragione, nulla si ritroverebbe più di religioso nelle culture: tutto cio' che nelle culture verrebbe rimandato ad una rivelazione altro non sarebbe che un riconoscimento impreciso da parte della ragione umana della Rivelazione Naturale .
Di fatto però, l’unica Ragione possibile è quella che si trova nella persona reale ,che non puo' sfuggire alla cultura in cui è cresciuta, percio' anche in caso di ri-conoscimento della Rivelazione Naturale, si avrebbero tante rivelazioni naturali quante sono le culture!
Puo' l'uomo conoscere la Verità con la sola ragione?
Secondo la Chiesa Cattolica si'. E' insegnato come dogma di fede.
DEI VERBUM-Concilio Vaticano II 
Le verità rivelate 6.  ”. Il santo Concilio professa che 
“ Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale dell'umana ragione a partire dalle cose create” (cfr. Rm 1,20);
ma insegna anche che è merito della Rivelazione divina se
“ tutto ciò che nelle cose divine non è di per sé inaccessibile alla umana ragione, può, anche nel presente stato del genere umano, essere conosciuto da tutti facilmente, con ferma certezza e senza mescolanza d'errore ”.
"...Con la divina Rivelazione Dio volle manifestare e comunicare se stesso e i decreti eterni della sua volontà riguardo alla salvezza degli uomini, “per renderli cioè partecipi di quei beni divini, che trascendono la comprensione della mente umana..."
La Rivelazione divina è una conoscenza che permette agli uomini di superare il limite delle possibilità ordinarie di conoscere la Verità.
Tutti gli uomini per dote naturale attraverso la ragione possono giungere alla conoscenza certa di Dio, ma ciò storicamente si è dimostrato difficile , tortuoso, se non addirittura ingannevole.
Di fatto nella storia gli uomini hanno potuto conoscere con certezza Dio grazie alla Rivelazione divina.
La rivelazione divina si è dimostrata un aiuto indispensabile alla ragione umana per introdurla in quei beni divini, che trascendono la comprensione della mente umana.
La rivelazione divina non nega la ragione ma la potenzia e la illumina.
Dunque nessun conflitto tra ragione e rivelazione divina ma integrazione.

Educare che passione!!

Il problema dell’educazione non è un problema dei giovani, non è un problema di alchimie, l’educazione è un problema di uomini, l’educazione è ciò che caratterizza il rapporto tra uomini, perchè il rapporto tra uomini è una continua educazione...

Stiamo attraversando un periodo storico dove pare non ci siano più certezze, dove non c’è più niente che è “male”, ma peggio ancora, non c’è più nulla che si possa chiamare “bene”.
Sembra che educare sia diventato “lasciare la libertà di scegliere”, e chi non è allineato con questa visione moderna dell’educazione, viene visto come un retrogrado o un bigotto, uno che non ha saputo prendere il treno della modernità.
Il professor Franco Nembrini presenta il libro “Il rischio educativo” scritto da Luigi Giussani, il sacerdote nativo di Desio che ha dedicato la sua intera esistenza all’educazione dei giovani.
Nembrini si definisce “un manovale dell’educazione”: ha fatto per 25 anni l’insegnante, è padre di quattro figli e a sua volta è cresciuto una famiglia che di figli al mondo ne ha messi dieci, oggi è presidente della Compagnia delle Opere educative.
Lui l’educazione l’ha vissuta come figlio, sperimentata come insegnante e la vive oggi come genitore, ne parla con una passione che riempie il cuore di speranza, perché dobbiamo riconoscerlo, spesso ciò che ci manca è la speranza e senza accorgercene cediamo a questa sorta di “rassegnazione educativa”, tutto sembra esserci contro, invece, il professore dice:“Educare è possibile, è sempre possibile, se era possibile nei lager nazisti vuoi non sia possibile a noi pur in questa società nichilista?”Ne parla con un impeto, come se stesse a tavola con degli amici davanti a un buon bicchiere di vino: “Il problema dell’educazione non è un problema dei giovani, non è un problema di alchimie, l’educazione è un problema di uomini, l’educazione è ciò che caratterizza il rapporto tra uomini, perchè il rapporto tra uomini è una continua educazione. L’educazione non riguarda solo gli insegnanti o i genitori, ma tutti, ogni rapporto, anche quello con i propri colleghi è per sua natura educativo, cioè costruttivo della personalità”
Racconta la sua esperienza di figlio, lo sguardo con cui guardava a suo padre, bidello, affetto da sclerosi multipla, che viveva il suo ruolo di padre con grande fermezza, e a sua madre che come racconta, pareva uscita dal film di Olmi, L’albero degli zoccoli.
“Mio padre entrava nella camera dove dormivamo noi sei figli maschi, s’inginocchiava e pregava.
L’educazione avviene perché c’è un adulto così, non perché c’è un adulto che ha il problema di convincerti. Mio padre non aveva il problema di convincerci di qualcosa, se uno di noi avesse detto – io non credo - avrebbe risposto – fa niente, Gesù non ha bisogno che tu gli creda, c’è comunque –
L’adulto è colui che deve far capire all’altro che vale la pena di essere venuti al mondo.”
Poi continua con il suo fare ironico che tiene l’assemblea attenta: “Se mi chiedete cos’è il Cristianesimo, vi rispondo che è educazione. Cos’è venuto a fare Gesù sulla terra? E’ venuto a educare. Ne ha presi dodici e gli ha fatto un triennio, più una o due settimane. (…) La Chiesa esiste per essere madre e maestra, cioè, per dare la vita (madre) ed educarla (maestra).”
Poi racconta dei suoi figli, e dei suoi alunni, di come non si debba cercare di cambiarli, di portarli dalla nostra parte, ma dare loro gli strumenti per giudicare il mondo e quindi anche il modo in cui noi viviamo, magari ci saranno d’aiuto a scoprire che siamo “ciellini d’allevamento, cristiani d’allevamento”, cioè gente che segue una tradizione, ma ne ha perso il cuore, che abbiamo per primi bisogno di essere educati, richiamati a guardare la vita, la realtà e a verificarla.
Continua il prof. Nembrini raccontandoci la parabola del figliol prodigo, ma questa volta vista dalla parte del Padre, di quel padre che vede suo figlio chiedergli la metà del patrimonio, cosciente che andrà a dilapidarlo, sa che suo figlio sta per fare una sciocchezza.
Quel padre è fino in fondo un educatore, perché educare vuol dire essere capaci di amore e di essere liberi dall’esito, consapevoli che l’esito è nelle mani di Dio.
Infatti, questo padre lo lascia andare e attende, in fondo lo sa che tornerà, ma quel figlio può tornare perché in cuor suo sa che c’è un padre che lo attende, un padre capace di perdono, il padre, l’educatore è la roccia, colui sul quale sai di poter contare.
Perché educare è misericordia, aver a cuore l’altro, anche quando sbaglia, essere lì con lui dove l’altro si trova, con la fiducia che troverà la forza di rimettersi in carreggiata. Come, non è dato a
noi saperlo, dobbiamo educare “liberi dall’esito” perché questo non è in mano nostra.
Finisce l’incontro in fondo tutti abbiamo la sensazione di voler ancora ascoltare, verificare il nostro modo di essere padri, madri, educatori.
Non può bastare una serata, serve a farti venire la voglia di continuare, usciamo e nella notte tiepida d’autunno mentre torniamo alle nostre auto, qualcuno sta già meditando di continuare, in fondo che amicizia è la nostra se non sappiamo educarci a vicenda.

Perché vado a scuola?

Questa mattina in terza, una classe nuova, dicevo: "Io in questi primi giorni mi sono presentato, ho detto chi sono, cosa desidero, che cosa è per me la scuola, perché ogni mattina vengo in classe, ora ditemi voi chi siete, cosa desiderate, perché venite qui ogni mattina". Ne è nato un dialogo molto interessante.
Dapprima la solita risposta: "Vengo qui col desiderio di finire questa scuola". Io ho detto: "Classico ragionamento da vecchio, tipo: mi manca solo un anno per andare in pensione, speriamo che passi presto".
Una ha aggiunto: "Io vengo qui per imparare cose nuove e per instaurare un rapporto migliore con le mie compagne".
Io le ho detto: "Noemi, ma sei sicura che è tutto qui? Che i tuoi desideri finiscono qui?". "No prof ce ne sono altri".
Allora io le ho risposto: "Provo a indovinare. Sono sicuro che negli ultimi anni della tua vita sono sorte in te delle grosse domande, che da bambina e da ragazzina non ti sognavi. Tu vieni qui perché speri di trovare risposta a queste domande.
E' venuto il momento di venire a scuola diversamente, il motivo è totalmente diverso da prima: tu vieni a scuola perché ti interessa te stessa, la tua vita, le risposte alla tua vita". Commento: "Ma è la prima volta che un prof si interessa a me, alla mia vita, non sono abituata a venire a scuola per questo".
A questo punto interviene Alice, una compagna:" E' vero prof da un po' di tempo mi pongo delle domande che non mi facevo prima, quelle che credo si facciano tutti: da dove viene la mia vita? Dove va a finire? Perché esisto? Ma vede il problema è che io penso che non sia possibile trovare una risposta a queste domande, sono domande difficili, complesse".
Io le ho risposto: "La cosa importante in quel che hai detto è quel verbo che hai usato: penso che non ci siano risposte. Questo significa che tu lasci aperta una possibilità, non parti dal negativo, dal fatto che sei sicura che non esistano risposte.
Io non ti voglio dire le mie risposte, non voglio che tu la pensi come me, tu devi rispondere alle tue domande, io vorrei aiutarti a scoprire come rispondere, quale metodo, quale strada occorre seguire per rispondere. Tu sei disposta a fare questo cammino insieme?".
Risposta: "Sì, certamente. Il problema è che non so se sono pronta ad affrontare questo cammino, perché da poco mi sono posta queste domande, poi sono molto giovane". Interviene una compagna che osserva: "Non è questione di età, ma se tu ci tieni o no, in questo caso è sempre l'età giusta". Interviene un'altra compagna: "Anch'io da un po' di tempo mi sono posta quelle domande, ma nella mia testa regna una grande confusione, ci vorrebbe proprio qualcuno che mi desse l'input, la spinta per iniziare questa ricerca e fosse disposto a iniziare questo cammino con me, facendomi da guida, in mezzo a tanta confusione".
Come diceva sempre il don Gius, come ripete P. Aldo, tutti si pongono le grandi domande della vita, il problema è che incontrino qualcuno che si interessi alla loro vita, che li prenda sul serio, che sia disposto ad ascoltarli, disponibile a iniziare con loro un cammino investendo con queste domande tutto: i rapporti, quel che si dice, quel che accade, quel che si studia.
Dicevo loro: "Dobbiamo farci una promessa: da questo momento qualunque cosa accada, qualunque cosa ci diciamo, leggiamo, studiano, dobbiamo chiederci: "Cosa c'entra con la mia vita, con le domande della mia vita? Dietro una poesia, dietro un quadro ci sta l'umanità di chi l'ha scritta o di chi l'ha dipinto, dobbiamo aiutarci a capire cosa dice quell'uomo della sua umanità attraverso quel testo, quel quadro e dobbiamo giudicarlo chiedendoci sempre: cosa dice a me? Cosa dice al mio cuore, alle mie esigenze, alle mie domande? Questo è fare scuola".

lunedì 6 settembre 2010

Classificazione delle religioni


Monoteismo

Per monoteismo (dal greco μόνος = unico, solo e θεός = dio) si intende la fede in una sola divinità identificata con il termine Dio. 

Politeismo

Il politeismo è un tipo di religione e di culto in cui il credo si fonda sulla devozione o l'adorazione di più dèi o divinità, posti più o meno sullo stesso piano di importanza. Il termine deriva dalle parole greche poly+theoi, letteralmente "molti dèi". Esempio di politeismo attuale potrebbe essere l'Induismo, passato la mitologia Greca e quella romana. Gli Ebrei e i Musulmani considerano la trinità cristiana un tipo di politeismo. Il dualismo si riferisce a quelle religioni che, nonostante considerino principalmente due divinità (a questo gruppo si possono ricondurre ad esempio ilManicheismo e lo Zoroastrismo) e riconoscano come principi separati il bene e il male, considerano il male non altrettanto divino. Possono, quindi, considerarsi a tutti gli effetti religioni monoteiste.

Enoteismo o Monolatria

L'enoteismo è una forma di culto intermedia tra politeismo e monoteismo in cui viene venerata in particolar modo una singola divinità, senza tuttavia negare l'esistenza di altri dei accanto ad essa. Un termine forse più esatto per definire la preferenza di un culto riservato a una certa divinità, rispetto a un restante pantheon più o meno ampio, è monolatria. Ne sono un esempio i culti misterici, la religiosità araba preislamica o le devozioni particolari di alcune città nei confronti di una divinità specifica.

Panteismo

Il panteismo (dal greco παν- = tutto, completo. θεος = dio/divino) letteralmente significa "tutto è dio/divino". Normalmente questo si collega alla convinzione che Dio sia coincidente con tutto l'esistente, l'intero universo o la natura.

Animismo

L'animismo o ilozoismo è la forma di religiosità che attribuisce un principio vitale ("anima") ad esseri od oggetti materiali (in molti casi le fedi animistiche attribuiscono virtualmente tale qualità ad ogni oggetto o realtà esistente).  Una religione viene definita animista quando si fonda sul culto di entità incorporee che animano il mondo, e attribuisce "anima" a cose immanenti. Un esempio di culto animista è lo Shintoismo, religione autoctona del Giappone.


Agnosticismo

L'agnosticismo è la posizione di chi ritiene che non sia razionalmente dimostrabile né l'esistenza né l'inesistenza di Dio. 

Ateismo

L'ateismo è una posizione che non solo non prevede e non ammette l'adorazione di qualsiasi divinità, ma ne nega in assoluto l'esistenza. Per l'ateo la realtà si dispiega esclusivamente nell'immanenza poiché non esiste alcuna trascendenza, e l'immanenza è costituita dalla materia in tutte le sue forme ed espressioni escludendo l'esistenza di qualsiasi forma della realtà di tipo spirituale o comunque non materiale. 

Religione: etimo e significato

Poichè è della religione che dobbiamo parlare, la prima cosa da fare è  mettersi d'accordo sul significato di questa parola.
Cosa significa e, soprattutto, cosa è la Religione?
Religione da RELIGERE ha il significato di: tenere con cura, oppure cura riguardosa, aver riguardo o rispetto, scrupolosa attenzione, è quindi il contrario di NEGLIGERE  che vuol dire appunto trasandato, non curante
del suo dovere.

Religione da  RELIGARE invece ha il significato di unire, tenere insieme, collegare. In questo caso la religione tiene unito Dio e l’uomo, il cielo e la
terra, l’eterno ed il tempo, il visibile all’invisibile, il naturale al soprannaturale.
La religione quindi crea dei Ponti tra dimensioni diverse.
Ecco perchè nell'antica Roma e anche in quella attuale esisteva il Pontefice (fautore di ponti).









Dio           Cielo                 Eterno               Invisibile          Soprannaturale           Spirito      

_________________________         ?           __________________________________ 
                                                                                                 
 Uomo      Terra                 Tempo              Visibile                Naturale                Materia








La Religione  è un legame e, precisamente, è il legame morale che unisce l'uomo a Dio.
I legami possono essere di vario tipo, ma qui il legame è morale e non fisico: nessuna catena lega l'uomo a Dio, ma solo la sua libera volontà.
Da questa  constatazione derivano, come logica conseguenza, i due aspetti di cui tratta la Religione:
· il riconoscimento, sottolineo e ripeto "libero", da parte dell'uomo della sua dipendenza da Dio

· la "libera" accettazione dei doveri che ne derivano

In definitiva, la Religione può essere definita come l'insieme di verità,doveri e riti con cui l'uomo, liberamente  riconosce Dio, lo onora e ne chiede l'aiuto.